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Diavolo di un Colombani. Di quelli benigni, che ti vorrebbero spaventare facendoti da Cerbero in un viaggio nelle tenebre, ma che poi, a conti fatti, si dimostrano benigni come dei Mefistofele in disarmo che ti portano a passeggio per i giardinetti. Le tenebre nelle quali Colombani vorrebbe addentrarci sono quelle, illuministicamente parlando, della civiltà occidentale pre-moderna, il Medioevo, che oscuro però non era affatto, tutt’altro.
…
È chiaro che Colombani, per quanto diavolo, non è mentalmente così compromesso da ritenere che il Medioevo gotico possa essere ripristinato in modo integrale nel presente come se niente fosse
Cosa diremmo oggi di chi parlasse normalmente in latino, come si fa ancora nella Curia vaticana? Che sarebbe una cosa bizzarra, vista la disponibilità di lingue moderne di impiego e universalità maggiori, che rivelerebbe una particolare devozione nei confronti della tradizione e di un certo passato, ma anche un certo piacere elitario nel comunicare solo fra i pochi che possono capire. Più o meno dovremmo valutare allo stesso modo il Nuovo Gotico proposto da Colombani. Un Gotico sui generis che la ha curiosità, dal punto di vista dello storico dell’arte, non tanto di essere improntato sulla centralità della cultura “todesca”…, che sarebbe del tutto giustificato, ma di considerare di questa cultura manifestazioni che sono già in piena combutta col successivo gusto rinascimentale. Pensiamo a Bosch, per esempio, di cui Colombani riprende le celebri “uova fatali”, mutuando da Bulgàkov, per imbastire su di esse variazioni extra-latine sul tema del grottesco e dell’occulto, in conformità a un’anima nera, da diavolaccio impenitente, a cui non rinuncia mai ad attingere: può essere considerato gotico?
Di fatto Bosch appartiene al Rinascimento, anche se vede bene Colombani nel constatare la persistenza di tanti motivi ispirativi riconducibili al Medioevo nordico, e a quello gotico specialmente, all’interno del suo formidabile immaginario creativo. Analogamente, la Deposizione dalla Croce e il più recente Dio è morto, i quadri che mi sembrano in assoluto i più ambiziosi di Colombani, ci presentano l’autore come un fedele prosecutore di fiamminghi rinascimentali già ampiamente addestratisi alla resa volumetrica e dello spazio in profondità, secondo cadenze che da una parte associano il nitore cristallino della luce all’espressionismo caro in particolare ai quattrocenteschi germanici, abituati ad avere a che fare con le durezze congenite della xilografia, dall’altra con le forme più allentate, ma monumentalmente irrigidite così come vengono adottate nel Mediterraneo iberico e nelle terre da esse dipendenti politicamente, Italia compresa. Allora ciò che Colombani riporta a galla, sottraendolo alle insidie della facile convenzione, dello schematismo più automatico e grossolano, è un Gotico inteso non tanto come categoria storica, ma come categoria dello spirito, disposizione mentale e creativa che sopravvive nel tempo anche alle sue epoche di più coerente appartenenza, potendo giungere comodamente fino ai nostri giorni.
Vittorio Sgarbi
“Siamo i fantasmi di una guerra che non abbiamo fatto... Per avere aperti gli occhi su di un mondo disincantato siamo, più di qualsiasi altro, i figli dell’assurdo. In certi giorni il non-senso del mondo ci pesa come una tara. Ci sembra che Dio sia morto di vecchiaia e che noi esistiamo senza uno scopo ... Non siamo inaciditi: partiamo dallo zero. Siamo nati fra le rovine. Quando siamo nati, l’oro si era già trasformato in pietra”.
La citazione di Paul Van den Bosch, sottoscritta da Piero Colombani, in apertura di questo catalogo doveva essere da me ripresa, alla chiusura di questi saggi, non solo come editore, ma anche come amico del Maestro.
Mi riconosco in effetti nell’essere ectoplasma: vivo ogni giorno la sensazione di stare nel tempo sbagliato, avverto la difficoltà di aderire ad una realtà quotidiana che impone il sacrificio dell’essere per vivere della gloria dell’effimero, dove trionfa la cultura dell’influencer, sullo scenario mondiale della rete tecnologica.
“Partiamo dallo zero”, con la sensazione di vivere in una notte in cui tutte le vacche sono nere, in cui la logorrea si confonde con l’afasia e il rumore assordante con il silenzio di un vuoto, che non è mistico, ma è immersione nell’assurdo.
Nietzsche preconizzava il mercato dove un uomo folle si aggirava con una lanterna alla chiara luce del mattino: “Cerco Dio!”. Quest’uomo veniva deriso dalla folla. Quella stessa folla che derideva l’uomo che cercava Dio, ha fatto morire, insieme a Dio, il mercato medesimo. Poiché, se un mercato trova senso nella dichiarazione del valore, quando si nasce tra le rovine, dove l’oro si confonde con la pietra, evapora il concetto di valore medesimo.
Nella sensazione del caos che si vive per l’assenza di riferimenti semantici, nello smarrimento che si prova per la mancanza di uno sfondo comune, nel quale possiamo vivere dei valori estetici e morali, lo sguardo profondo di Colombani trapassa gli sguardi, come l’uomo folle di Nietzsche, e accusa. Da questo j’accuse può rinascere il valore. Una provocazione che si presenta come “ponte” tra il mondo antico e il post moderno, volta a interrogare il tema del valore medesimo.
Colombani si colloca in un mercato di nicchia, fuori dal rumore, dai fenomeni dell’arte di consumo. Ma l’augurio che dobbiamo farci, impegnandoci tutti in primis, è che torni ad esistere un mercato esteso oltre la nicchia, dove gli esseri umani contrattino valore, consapevoli dell’oro. Il mondo dell’arte contemporanea ci ha invece abituati ad opere estemporanee, incapaci di rispondere ai secoli, che sorgono più come fenomeni di moda che come espressioni davvero epocali, dotate di un’intensività semantica che le renderà eterne.
“Archetipi in metamorfosi” sono, invece, le forme del Maestro, che mettono in scena una gigantomachia, una battaglia per l’essere. La sua opera è “Lux in umbra et pulvere”, una lanterna che illumina di una luce soffusa le caverne del cuore dell’uomo, dove dimorano mostri apotropaici: figure demoniache e tentatrici che la luce accecante e falsata del “neon” della contemporaneità,
possano depurare l’essere umano. Colombani ha, in questo senso, la capacità di farci percepire col linguaggio simbolico e forte della sua pittura, che i mostri esistono e che una luce contemporanea di una ragione epurata dalla tecnica, non li elimina, ma continua a farli vivere sotto mentite spoglie, assai più pericolose.
Credo che la sua produzione generi uno degli ultimi baluardi e delle ultime occasioni per chi ha orecchi da intendere. Un po’ come l’“Ultimo Dio” che transita nella contemporaneità, colto dall’ascolto sopraffino di Martin Heidegger.
Francesco Corsi
Collana: Percorsi tra arte e filosofia
Anno edizione: 2022
In commercio dal: 2022
Pagine: 151p., ill. , Cartonato
EAN: 978-88-31950-18-3
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