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Enrico Cestarelli, pittore dell’anima, come lo fu Munch, sembra provenire da quel clima bohémien che ha accomunato i più grandi artisti del ‘900.
Ribelle e originale fin dalla tenera età, si è cimentato nella copia delle opere di artisti come Gauguin, Van Gogh, Modigliani, per giungere ad una sua espressione di forte intensità, che trasporta su qualsiasi materiale il suo ricco e tormentato vissuto. I colori dominanti delle opere degli ultimi anni sono i rossi, i blu, il grigio, il nero, che coinvolgono lo spettatore in un vortice di profonde emozioni, dove si colgono gli echi e gli archetipi dell’esistenza.
Una pittura esistenziale che ci conduce all’intimo dialogo con noi stessi, forse lontana dal clima di distrazione dell’arte attuale, che spesso sembra rifuggire il profondo umano.
La sua opera è talvolta incompiuta, così come i Prigioni di Michelangelo ci suggeriscono una forma che non è riuscita ad affrancarsi dalla materia.
È lo spirito del tempo, un tempo che non lascia respiro, che incalza un’espressività oscillante tra il minimale e l’espressione dell’angoscia di un mondo che ha perso l’orizzonte di senso, proprio di una civiltà lineare, escatologica. Così l’artista, mosso da un amore per la forma, scultura, pittura, per i grandi maestri “degenerati”, si dedica alla copia di artisti erosi dal proprio genio sregolato come Amedeo Modigliani. E sembra di vederlo, Enrico, come se immaginasse di conversare con quel giovane pittore che scambiava un’opera per un piatto di pasta e che continuava a dipingere colli oblunghi che sembravano non riscuotere grande successo. Turbine di passioni, ricerca della propria originalità a qualunque costo, vita vissuta nella tempesta amorosa, amore e odio per il mondo, vita dedicata alla ricerca dell’emozione e della commozione; questa è la vita di un pittore che deve essere artista per corrispondere ad un tarlo che rode l’anima e costringe a dipingere, a dare espressione al proprio dolore, alla propria delicata sensibilità. Figure che esprimono la solitudine di un mondo di abbandono, in cui un trombettista sembra suonare da solo. Eppure la musica esiste in modo assoluto, anche se nessuno l’ascolta. Tocca le corde dell’anima di chi la esegue, produce catarsi, come una tragedia greca scuote all’ebbrezza dell’abisso, provoca paura, ma raccoglie l’emozione nella pietà di un pianto vero. Il pianto dell’uomo che “sta solo sul cuor della terra”, con la consapevolezza che “è subito sera”. Sembrano urla del silenzio, di martiri che hanno gridato inascoltati, ma testimoni di un evento apocalittico che squaderna una fine che sembra un eterno ritorno. Ma tra prostitute dal volto anonimo di una triste banlieu parigina, ci sono anche abbracci materni che suggeriscono il grande abbraccio della vita che pulsa piena d’amore. Anche se la vita è un po’ un “giocattolo rotto”, come nell’opera “Chi ha rotto la mia bambola”, c’è spazio per l’eros che ci allontana dalla morte, in un afflato irrazionale, ma dolce, di vita donata senza risparmio.