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Da tempo, le strade della pittura contemporanea si dipartono verso direzioni apparentemente divergenti, quelle tra pittura astratta e pittura figurativa.
Apparentemente, appunto, perché il dibattito tra pittura figurativa e pittura astratta è in verità un non senso, non essendo, la pittura, a ben vedere, mai astratta, anche quando non rappresenta un qualcosa di definibile e cito quale esempio i tagli di Fontana che, all’apparenza astratti, evocano invece simbologie sessualmente riconoscibili e a volte, in alcuni casi, lunari visioni di mondi lontani.
Così come in Burri, che nella sua apparentemente astratta elaborazione di materiali, i più disparati, allude a situazioni che riportano la mente a dati figurativamente evocativi di ferite, sessi, paesaggi e quant’altro.
Basti poi pensare a Fautrier, che con i titoli, Otage e Potage di alcune sue opere, già ci dice che siamo in un versante dell’astrazione che affida, alla matericità del proprio essere, l’allusione ad un dato riconoscibile, anche se, a prima vista, sfuggente.
Questo esercizio, ci porterebbe lontano, sino a sfiorare la dilaniante e prorompente gestualità di Pollock, che affida ai titoli, a volte, a prima vista, impropriamente accasati alle sue opere, come Cathedral, The Wooden Horse, Ocean Greyness, Comet, Portrait of a Dreams ecc. la sua necessità di indicare che, l’essenza dell’astrazione è comunque figlia di una osservazione della natura, la quale, comunque, volenti o nolenti, traspare nelle opere degli artisti, anche da quelli apparentemente più lontani da una visione figurativa.
È questo il caso di Frisoni che, apparentemente lontano dalla figurazione, ne conserva però l’alito evocativo, laddove egli non palesa, immediatamente, la declinazione letterale e descrittiva di un paesaggio o di un luogo immediatamente riconoscibile, ma ne evoca, come Fautrier, Burri, Fontana e a suo modo, Pollock, immaginarie visioni, che scaturiscono non dagli occhi, ma dal cuore.
Nei suoi dipinti, matericamente raffinati, si incontrano le dolci colline marchigiane/romagnole, si intravedono piccoli borghi, perduti nell’immenso silenzio di un paesaggio secolare, intimo, fatto di toni dolci, morbidi, terrosi, mescolati agli azzurri mediterranei del mare e dei cieli d’Italia.
Nei suoi dipinti, l’eco crepuscolare di un sentimento di amore per la sua terra si sposa con l’intima vocazione al racconto, che è la componente essenziale della sua pittura la quale trova, in una ricerca matericamente complessa, la sua catarsi.
L’opera di Frisoni è poeticamente lontana dalla pittura gridata, volgare, affrettatamente dipanata, in cui oggi sembra dibattersi e, sguazzare, l’arte contemporanea.
Il lavoro di Frisoni, appartiene, per sua fortuna dico io, ad un altro versante, quello della poesia, della riflessione, è una pittura dal carattere crepuscolare, alla Montale quindi, dura, faticata, ma candidamente e poeticamente levigata, come “ossi di seppia”.