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Mai ci si vorrebbe trovare a scrivere qualcosa che stia a testimoniare il vuoto di un amico.
Non molto tempo è passato da quando abbiamo pranzato insieme, con la tua Lucia, e abbiamo parlato dell’ispirazione che ti portava a contatto con il cielo mentre dipingevi. E mentre raccontavi delle tue ispirazioni mistiche, si rideva con un bicchiere di vino, passando ad argomenti più prosaici dove si faceva vivo il tuo spirito boccaccesco, la tu anima fiorentina.
Passavi alle tue storie di gioventù, ricordando gli scherzi fatti agli amici, le belle donne, le passioni umane. Stare con te significava percepire l’afflato religioso, l’anelito alla bellezza, alla purezza dell’onestà intellettuale. Nella tua arte si percepiva il distacco rispetto ad un mondo dimentico dei valori, inquinato, contaminato da un’estetica del brutto. Trasfiguravi i volti umani, ammantandone lo sguardo di una luce speciale, velando i corpi di una polvere divina, velature degne di un Rembrandt. Eppure, i tuoi quadri, nonostante il sapore dell’antico, il profumo della pittura che ricorda il clima delle abbazie, provocavano lo spettatore ad una sdrammatizzazione della vita con una mongolfiera passante o degli uccelli in volo, dei volti beffardi o ironici.
Riflettevano il tuo pensiero, il tuo modo di essere, di persona radicata nei valori cristiani, ma un po’ ribelle, satirica, boccaccesca, bohèmienne. Uno spirito libero, tendente al cielo, alla pace delle foreste nella loro penombra, al sole, alla luce, al bello, così come al disincanto, al distacco ironico, alla concretezza del piacere di vivere. Quel giorno a pranzo da te, ero sequestrato da uno dei tuoi ultimi dipinti importanti, tuffandomi nell’azzurro lapislazzuli che incorniciava l’incontro tra Papa Giovanni Paolo II e Madre Teresa. Volevo comprarlo, ma non potevo. Avrei voluto portarmi a casa tanti altri dei tuoi ultimi lavori, così ben riusciti e pieni di spirito, di ironia spumeggiante.
Mi sono portato a casa l’eco delle tue parole, amico mio, delle tue risate, del tuo italum acetum.
E adesso, mi manca immensamente pensare di non poter tornare con Te a Castagno di Andrea, a rivedere il tuo affresco accanto al crocifisso del tuo Annigoni, a mangiare di nuovo in quella trattoria tutta affrescata dai tuoi paesaggi, nella quale è stato immortalato anche il vostro cagnolino.
Certi artisti sono come i nonni, non dovrebbero morire mai. Nessuno dovrebbe morire mai. Eppure così è fatta la bellezza del mondo e della natura un po’ matrigna: nascere per morire, ma per rinascere forse alla luce. E sicuramente, per lasciare dietro di noi una scia di bellezza, un’onda di polvere di stelle, un sorriso, una risata goliardica. E beato è chi lascia dietro la sua vita dei capolavori che restano nella storia umana e aiutano a vivere chi sta ancora in cammino.
Tu viandante dell’arte, ci lasci nel cuore la traccia del colore e della gioia di vivere, di stare con gli amici veri, di mangiare bene e brindare al gioco meraviglioso della vita.
Non posso crederci che sei andato, eppure sei qua tutto ciò che hai fatto per l’umanità.
Grazie Silvestro, so che mi volevi bene.