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Ivo Stazio è un poeta. L’Italia è il paese dei grandi poeti e di questi ha bisogno non soltanto il nostro paese, ma il mondo intero.
Viviamo in tempi nei quali la virtualizzazione del reale sta portando il genere umano verso un paradosso spaventoso: la vita a contatto con i metaversi, con i mondi digitali, con il costante filtro dello smartphone che è diventato il primo interlocutore, genera un tale senso di onnipotenza, e di una tale libertà assoluta che finisce in realtà per soffocare l’anima, bruciandola, estinguendola. Persino un concetto come quello di “anima”, il soffio di Dio che alitava sopra le acque del Genesi, viene assorbito dal concetto di intelligenza artificiale. Tutto ridotto a bit, nella pretesa informatica di catturare ogni segreto della natura. Ma l’illusione di carpire il segreto della natura, di rendere l’uomo unico arbitro del cosmo, diventato peraltro cosmo virtuale, uccide la sensibilità, ammazza quell’esprit de finesse di cui parlava Pascal. E al senso delirante di onnipotenza, al narcisismo iperbolico, consegue soltanto solitudine e senso di impotenza che genera rabbia e ribellione, odio, disprezzo per la vita, insensibilità ad una natura che non si riesce più a guardare nella sua essenziale meraviglia.
Quando si entra nello studio di Stazio, si percepisce la levità della carezza poetica che si è fermata in modo deciso sulla tela, con un’espressione così materica, sabbiosa, nevosa e anche liquida, che si ha la sensazione di essere nella casa giusta, la casa dell’essere, oggi messo in discussione dal materialismo virtualizzante del bit selvaggio. Ci si sente al riparo. Come se l’anima potesse prendere un respiro e cessare di sentirsi imbrigliata in una nevrastenica rete, per restituirla al ritmo del respiro, al ritmo naturale del mondo, con i suoi colori che ammantano terre, cieli, acque, boschi, ma anche gli insediamenti umani che resistono con il loro sapore e profumo di antico, alla violenza anestetica del presente.
Si percepisce un aspetto lirico, tendente all’informale, fino alla scia di Schifano, tuttavia con una capacità di emozionare in modo raffinato, così come era raffinato il fiorentino Sergio Scatizzi, col suo Barocco Informale, che sapeva cogliere la delicatezza della natura con la forza della spatola, proprio come Ivo Stazio.
Feci un sogno, prima di iniziare la mia avventura con ARTinGENIO: “Mi sono svegliato sognando di nuotare dentro un torrente gonfio di pioggia che passava in mezzo ad una città dall’architettura ottocentesca. Uscivo dall’acqua nel freddo dell’inverno, intirizzito e senza una casa dove scaldarmi, ma a un certo punto, giungeva un poeta recitante... allora mi sentivo così ricco nonostante fossi nudo e bagnato e pensavo che ciò che la vita mi chiama a fare è leggere, pensare e divulgare i tesori del cuore dei poeti, degli artisti e dei filosofi”. Quando ho conosciuto le opere di Stazio, ho percepito quei cieli aperti che sovrastano colline tappezzate di colori, seguendo il corso delle acque che tutto rendono vivo, fino ai silenzi ineffabili del candore. E l’uomo nella visione dell’artista non è nemico della natura, con le sue strade di auto, a volte gelate, con la vitalità dei tetti e dei mattoni rossi, le cupole bolognesi, circondate da un odore di antichità, che tra le terre di Siena, i violetti cobalto delle fioriture, giunge al giallo di una festosa
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Napoli. I fumi bianchi delle fabbriche, i cieli grigi, sono le espressioni dell’anima paziente e laboriosa, che trova un tempo anche per meditare, mentre lavora, tra i paesaggi innevati. Non c’è atarassica contemplazione, ma senso della mistica pur nella laboriosità e nella frenesia del mondo industriale, dove l’uomo costruisce, crea. Nell’espressione della naturalità non c’è polemica verso il progresso, ma c’è vivo appello alla freschezza dell’anima, che somigliante all’acqua, per dirla con Goethe, non si assopisca mai di fronte alla bellezza. In effetti, gli occhi per Stazio vivono in continua correlazione con le mani che afferrano i pennelli: non c’è contemplazione inutile, scevra dal fare, ma non ci deve essere un fare privo della delicatezza dell’anima, del rosso dell’emozione di un cuore che assorbe tutto come una spugna. Anche la malinconia viene assorbita dal petto del poeta che la riversa sulla tela facendola diventare delicata vibrazione delle più sottili corde dell’anima. La vita è regale, come i blu che campeggiano in molte opere di Stazio.
Mi pare interessante concludere con una citazione dannunziana, dall’Alcione.
Francesco Corsi
Anno edizione: 2023
In commercio dal: 2023
Pagine: 232 p., ill. , Brossura
EAN: 978-88-31950-28-2
PREZZO: € 30,00
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