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Alfonso Mangone nasce ad Altavilla Silentina, nel 1958, sorta di paese dionisiaco, tra cantine, asini, capre, pecore, cani e gatti randagi.
Un luogo pervaso dall’odore della legna e dei fuochi nell’inverno, dall’odore dei campi, dei sughi, dei pomodori appena colti in estate. Con i fichi secchi la povertà segna una vita tuttavia rigogliosa, una vita condivisa, tra il chiasso della tavola e i giochi dei bambini. Dalle porte aperte delle case uscivano gli odori della salse. Sulle antiche porte di legno, non c’erano le chiavi, perché le chiavi stavano appese ai muri, come fossero un’opera d’arte, arrugginite, pesanti, enormi. Ululati, linguaggi grotteschi, antichi volavano per il paese. Strette di mano forti, saluti vigorosi. Non c’era il telefono per chiamarsi tra amici, ma c’era l’urlo selvaggio che rompeva il vento. I giochi antichi dei bambini, bambini istintivi, gioiosi.
Il paese era ebbro di vino, le cantine erano ovunque cariche di odore di vinaccia.
Botteghe ovunque dove trovavi stoffe, sarti, calzolai con il loro nero odoroso di pece, pizzicagnoli, odori acri di formaggio, profumi di salumi, delicato odore di frutta secca. Su ogni davanzale macchie rosse di peperoncini, tra basilico, origano selvatico. V’erano stalle per ogni famiglia, quando ognuno aveva il proprio asino come mezzo di trasporto e la propria capra, tra odori forti di animali che davano persino piacere, lo sterco degli asini sotto il sole, tra i ciottoli di fiume dei vicoli paesani. E tra i covoni di fieno, come macchie gialle di paglie si nascondeva il rosso degli amori.
IL SEGNO
Il segno stava già dentro l’artista, quando a otto anni, prese l’antiruggine del nonno che faceva il fabbro e sulle pietre di casa nostra scrisse: “THE ROLLING STONES”. Fu la prima provocazione istintiva. Il padre, muratore dalle robuste braccia, prese lo scalpello per togliere quei quindici metri di pittura rossa antiruggine dalla facciata della casa.
Il pittore amava la musica dei Rolling Stones, dei Kings, degli Who, dei Cream, di Jimi Hendrix. Ascoltava il rock estaticamente. Da bambino si pitturava i pantaloni con i pennarelli, le penne, e manifestò il suo atteggiamento di creatività ribelle quando rivoltandosi al maestro, che lo redarguiva per i vestiti macchiati di colore, venne cacciato dalla scuola. Poi, dopo la ribellione, subentrò l’introversione e continuò la scuola media con un diverso atteggiamento, molto silenzioso. E fu allora che iniziò a sviluppare il suo linguaggio artistico, innamorato dei caldi colori dei fiamminghi. Cominciò anche a guardare “I giocatori di carte” di Cezanne, che gli ricordavano le cantine del suo paese. Nel ‘73 cominciò a realizzare i primi tributi a Cezanne, il primo vero rivoluzionario, dopo Delacroix. E guardava Monet, Pissarro, gli impressionisti francesi. Man mano scoprì Van Gogh, fino agli espressionisti tedeschi; Die Brücke, Max Pechstein, Kirkner. Ma anche André Derain, Matisse, con i loro fuochi.
Così nacque il suo stile, all’ombra virtuosa di questi grandi artisti da lui amati.
PUNK ED ESPRESSIONISMO
Si iscrisse all’Accademia di belle arti a Napoli e dalla città partenopea a Catanzaro ascoltava la musica Punk interpretando sempre i suoi espressionisti. Nel primo anno d’Accademia a Catanzaro frequentava le piazze “come fossi un cane randagio del mio paese”. Era libero, hippy.
Arrivò poi a Firenze in pieno periodo punk. In Piazza San Marco all’Accademia, frequentò il corso di Giulietti e in questo periodo conobbe il Presidente del mercato del pesce di Firenze che ogni mattina gli commissionava un quadro.
Gli faceva ritrarre le chiese fiorentine come Santa Maria Novella, Santa Croce, Monte alle Croci, Santa Trinita.
E venne la mostra curata dal famoso Aldo Braibanti che giunse da Roma con un’Ape a tre ruote, insieme al filosofo Gilberto Corbellini, e pure con una papera al seguito.
A Roma fu Ferruccio Massimi, un grande organizzatore di mostre, editore, gallerista, che dedicò molto spazio al pittore su molti cataloghi e saggi d’arte. Mangone fu presente nella cartella di grafica “Elites Citoyen et Bourgeois” che conteneva venti opere di artisti tra i quali Gianfranco Baruchello, amico di Picasso e di Duchamp, Pino Reggiani, Tullio Catalano, Petrus, Nunzio e molti altri. L’opera era curata da Giulio Salierno e Mikis Teodorakis, il famoso musicista greco autore della colonna sonora del film “Zorba il greco” con Anthony Quinn.
E ancora con la mostra “Arte e Alcool” di cui parlò tutto il mondo. Ancora oggi a Formello, vicino Roma, è esposta un’opera di Mangone.
ATTRAVERSOCITTÀ
L’artista, dall’anima sia bucolica che metropolitana, si definisce un “attraversatore di città”. Il suo motivo conduttore è infatti la crasi “ATTRAVERSOCITTÀ”, con significato sia avverbiale che verbale.
Negli anni ottanta alla guida della Porsche-Volkswagen giallo fosforescente, ascoltando i Sex Pistols, incontrava a Firenze Ginevra Romanelli, nipote del famoso Romanelli autore del busto dedicato a Benvenuto Cellini sul Ponte Vecchio.
Con lei, misto tra una donna inglese e una donna toscana, una fotomodella, alta, slanciata, con due lunghissime gambe magre e sensuali, rossa di capelli e occhi penetranti magnetici, viaggiò per ogni dove, da Amsterdam a Salerno.
Con questa splendida donna, frequentò la vita notturna underground con amici alternativi.
Poi in Germania a Berlino, quando c’era ancora il muro, si divideva tra locali underground e amicizie importanti, come con gli editori Fischer.
Poi vi fu il ricco periodo olandese, nel luogo dell’imprinting dell’arte del pittore: la culla dei fiamminghi e del colore di Van Gogh. Il suo giallo primario lo stregavano come i fuochi del suo cielo stellato. In Olanda a Groningen girando per i coffee shop, condusse una vita sempre on the road. Il suo segno, il suo linguaggio cominciava ad essere conosciuto. Venne accolto nella cerchia dei pittori più importanti in Olanda.
Si iscrisse al Centrum Beeldende Kunst dal quale arrivarono molte opere su commessa. Aveva un forte riscontro a livello di mercato. Frequentava i locali più rock dell’Olanda. A Vera Groningen convergevano tutti i gruppi grunge degli anni 90, i Nirvana, i Ted. La sua vita era rock, concerti, arte e donne. Libertà,alcool, psichedelia.
A Groningen teneva ben due grandi atelier in palazzi della banca olandese ABN AMRO Bank e all’Aia dipingeva e teneva l’atelier in un vecchio Ministero della Difesa abbandonato, di fronte all’Ambasciata Italiana. Riempì quasi tutto il palazzo con polittici anche di dieci metri. Di fronte al suo atelier si trovava l’enorme “Panorama Mesdag” di Hendrik Willem Mesdag, per il quale è stata costruita appositamente una struttura di 120 metri di circonferenza.
Questi sono cenni storici sulla vita di Fernando Alfonso Mangone, senza conoscere i quali non possiamo immergerci veramente nell’opera del pittore. Perché Alfonso attraversa le città, i luoghi, ma attraversa innanzitutto la propria anima con la profondità di un poeta che gli consente di fermare sulla tela la velocità della vita che scorre. La vita scorre frenetica nei tempi moderni, ma anche nella quiete delle campagne dove si annusano lentamente gli odori, dove si riposa sul giallo del fieno, vive comunque la frenesia del tempo che passa e delle emozioni che fuggono. La pennellata di Mangone è veloce, avida di vita, bramosa del desiderio di cogliere ogni notte con il suo mistero, di attendere il giorno dall’alba, di cogliere il fuoco dei tramonti che ci lasciano immergere nella notte, dove si acquietano le tempeste, ma dove un’aurora boreale di fluorescenza, ci fa capire che la luce non finisce mai.