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La “Fenomenologia dei concetti” è un’opera che nasce dopo lunghi studi della filosofia tra otto e novecento. Da Friedrich Nietzsche a Maurice Merleau-Ponty a Edmund Husserl, fino a Martin Heidegger, si percepisce l’influenza della lezione nietzscheana, con la critica dei valori tradizionali, dei riferimenti, verso una dimensione di accettazione dell’esistenza come pura sovrabbondanza che non ha un senso, ma semplicemente dona vita e gioca come un fanciullo. La critica della fenomenologia della percezione di Merlau-Ponty induce ad una visione diversa rispetto a quella classica dell’empirismo inglese, aprendo una dimensione della coscienza come apertura primordiale all’esistenza, attività in cui la percezione non è determinata da una stringente causalità atomica. Viene in qualche modo ripresa e criticata l’idea della coscienza intenzionale husserliana, dove è la struttura della mente a intenzionare le cose stesse e attraverso una progressiva “riduzione eidetica”, giunge alla conoscenza di idee pure. Il filosofo ne sviluppa piuttosto l’aspetto fenomenologico realista, in ordine al superamento del rischio di un solipsismo cartesiano, dove l’unica certezza resta la funzione del pensiero medesimo. Anzi, la sua fenomenologia critica essenzialmente la dimensione platonista e ipostatica, per una fenomenologia che evidenzi una genesi malata dei concetti, che hanno finito per stritolare l’autenticità dell’esperienza umana. Il pensiero di Heidegger interessa in particolare all’autore per la critica che il “pastore dell’essere” mosse all’ontologia classica, attuando la “distruzione” del pensiero fuorviato dalla contemplazione dell’Essere come un oggetto, che diventa concetto manipolabile. Piace sicuramente l’originale analisi semantica del linguaggio heideggeriano e la possibilità di rintracciare nelle sue pieghe aspetti nuovi e funzionalità che possono aprire nuove interpretazioni. Lo studio di Wittgenstein che dopo aver elaborato una visione del linguaggio come immagine logica del mondo, si rende conto che il linguaggio non corrisponde ad un mero stato di cose, ma ne influenza la dinamica, apre all’autore l’intuizione che il linguaggio debba liberarsi da schemi preconfezionati, da regole rigide, da inquadramenti che offrono certezze granitiche basate effettivamente sul nulla. E come Wittgenstein dice che la base del significato sta dove la vanga non affonda più perché ha incontrato la roccia, così il nostro autore invita a liberarsi di tutte le gabbie concettuali per ritrovare il significato della vita nella semplice esperienza più fondante che vi possa essere, come quella della visione del Sole, con il calore che irradia alla vita, generando emozione autentica, sulla base della quale possiamo costruire una concettualità fondata nell’esperienza più autentica condivisibile tra ogni essere umano.
Perché, tutto sommato se l’autore dice pirandellianamente che “Il mondo è un vero teatro dell’assurdo, dove l’assurdo prende sempre più tristemente vita e dove il nulla domina ancora su tutto”, esiste un antidoto all’assurdo che sta nella presa di coscienza del grande fraintendimento generato dal razionalismo, per liberare l’uomo alla dimensione più sensibile, emozionale dell’esistenza, libera, pura e luminosa come un cielo illuminato dall’astro.
A parte il confronto con i filosofi storici va fatta una considerazione: la stigmatizzazione dello stato acritico del Pensiero Unico dominante, che risulta essere una sorta di necessaria conseguenza logica del fraintendimento epocale del pensare concettivo. Una razionalità che ha sradicato l’uomo dalla propria naturalità, fino alla desensibilizzazione anestetica del tremendo mondo digitale. E come Heidegger indagava l’Essere alla luce del Tempo, così il nostro esamina la temporalità inautentica che ci propone la contemporaneità, figlia bastarda della catena concettuale razionalistica: un concetto di tempo che si appiattisce sull’essere fattore di ripetizione, come in un cieco ritualismo, dove si ripetono azioni inconsapevoli volte al nulla. Come l’uomo aveva bisogno di compiere riti di preghiera, nelle culture religiose, così nella cultura laicizzata ha bisogno di abbandonarsi alla compulsione rituale digitale. Viviamo un processo di “cosificazione”, che ha allontanato paradossalmente l’uomo dalla base dell’esperienza fondata sull’Ente: il filosofo cita infatti Adorno: “senza il qualcosa l’essere non è pensabile”. E invece tutta la storia del pensiero sembra basarsi sul “concetto” che, ancora prima di essere astratto (“astratto” implica il venir tratto da un residuo di realtà effettuale), è del tutto costruito sulla base di un nulla. L’idea di dio è appunto un nulla perché a nulla corrisponde: “è solo un prodotto meccanico del pensiero oggettivo”. L’oggettivo è assunto come prodotto istantaneo della mente che considera ciò che percepisce come un concetto del mondo finito, chiuso nell’orizzonte semantico imposto dai poteri forti, dai detentori delle verità che vogliono imporre concetti alle menti e plasmarle in modo che si dissocino del tutto dall’origine fenomenologica. Viene diffusa ignoranza, ovvero fede nella percezione acritica istantanea, sia essa una sensazione o una credenza. Che poi, sensazione e fede finiscono per coincidere in un mondo dove tutto viene dominato, preordinato, impacchettato. Un dramma moderno, che secondo Pignato viene appunto da altri tempi. Viene da un clamoroso fraintendimento, dove il linguaggio, invece che liberare l’essere umano nel rapporto originario con la natura, diventa la gabbia semantica che pone un filtro sempre più stratificato rispetto al contatto spontaneo con la Natura, dove il Sole è l’elemento di esperienza reale più autentica.
Potremmo vedervi un eco rousseauiano, nell’idea del mito del buon selvaggio. Ma non è così, perché l’autore non va alla ricerca di una liberazione dalla cultura, in ordine ad un primitivismo, non condanna l’evoluzione socio culturale in quanto tale, piuttosto punta il dito sulla mala fede di quanti, nella storia, hanno generato fedi nel nulla con scopo manipolativo delle coscienze.
In questo senso va il suo attacco alla chiesa, colpevole di aver indotto milioni di coscienze a riporre fede in ciò che non ha alcuna evidenza fenomenologica. L’assunto del Concetto che racchiude ogni interpretazione del reale è la cappa soffocante che nega aria all’anima e libertà al pensiero: punto di vista decisamente interessante e che riprende anche le considerazioni nietzschiane da “La genealogia della morale”.
Una razionalità che si impadronisce delle sensazioni, fino al gioco che l’autore fa con le parole per meglio spiegare la propria visione. Il termine “Sensazione”, va inteso come fosse un concetto razionale “senza-azione”, ovvero dove la prassi originaria del vivere ha già fin dal principio abdicato alla dimensione asfittica della ratio concettiva.
Dove l’oggettivazione investe già da subito l’io che diventa un soggetto oggettivato: tale
È il fenomeno al quale certamente assistiamo in questi tempi dove lo spirito attivo e libero dell’Essere umano viene distrutto scientificamente in nome di un’oggettivazione che trasforma sempre più la Persona in una Cosa.
Così l’uomo ammalato diviene schiavo di feticci che sono la “logica proiezione di una negazione”, dove ogni concetto è un “cancro del fenomeno, cancro della conoscenza, cancro delle emozioni”. In questo Moloch del concetto si giunge all’indistinto, dove “i pensieri razionali, la normalità, le preghiere, l’ignoranza, la religione, dio” sono facce della stessa medaglia: ovvero si ritiene razionale e giusto l’affidarsi a un vuoto, dove nulla è veramente da conoscere, dove nessuno si parla, perché quel dio che si prega in realtà non cade nel dominio del fenomeno reale. E quindi la razionalità genera schemi, fenomeni non naturali, non originari, che vengono tuttavia assunti come uniche verità e riferimenti. L’assunto originale del Pignato è che l’assenza di riferimenti, il vuoto e la spersonalizzazione che si vive nel nostro secolo non è dovuta all’ateismo o alla perdita di valori, ma è l’estrema conseguenza dell’impiego di concetti vuoti assunti come punti di riferimento. Potremmo dire che “il re è nudo”. Possiamo essere o non essere d’accordo con questa “distruzione” della razionalità e della teologia che compie il nostro autore, ma certamente non possiamo non assumerla come base di seria riflessione.
Così come dovevamo assumere come base di seria riflessione il grido dell’uomo folle di Nietzsche che annunciava la morte di dio. Dio è morto? Non è mai veramente nato, direbbe il nostro autore, anzi, è stato generato con il dolo concettuale, allo scopo di dominio sulle masse: “dio non regge più come pensiero, come anima e come spirito creatore del tutto, dei cieli e della terra, perché semplicemente nella normale razionalità si nasconde l’illusione, il concetto e la finità ovvero la fine del tutto, perché ogni concetto è fine a se stesso, e fino a prova contraria, dio deve essere ancora trovato, visto, conosciuto e considerato come idea, come presenza, come forma e come linguaggio, come essenza con un corpo ed un cuore, così come per assurdo devono ancora essere trovate l’anima e lo spirito del non-essere. Dio è semplicemente morto nella sua stessa negazione, ovvero nella sua concezione!!”
In quanto curatore di questa nuova collana aperta al pensiero che non rinuncia a pensare, dico personalmente che nella storica figura del Cristo possiamo vedere quel richiamo al mondo genuino delle emozioni e dei sentimenti, alla demolizione dei concetti vuoti e dei sepolcri imbiancati cui anela il lavoro del nostro autore.
E altrettanto potremmo dire riguardo alla visione di Siddharta, del Buddha e in molti altri contesti di autentica spiritualità, anche se il messaggio d’Amore reale, concreto che ha lasciato Gesù all’umanità non ha il pari in nessuna spiritualità.
Paradossalmente il complesso e ricco percorso filosofico dell’autore mi ha stimolato notevolmente alla ricerca dell’autentico e credo che possa costituire una lettura da affrontare proprio da parte di quanti si professano credenti, per demolire completamente feticistiche fedi in omaggio alla ricerca della verità, oppure per conoscerla ancora meglio, nella messa in luce dei punti critici oltre i quali o si spalanca il buio, oppure un sole accecante, un oceano di luce.
Ed è questa appunto la conseguenza della lettura di questo libro, da qualunque parte lo si affronti, sia da atei che da credenti: l’approdo all’Essere luminoso piuttosto che al nulla.
Il superamento della visione asfittica del Pensiero Unico dominante, consente la demolizione dei concetti e preconcetti che non lascia l’uomo nudo, ma toglie semplicemente gli abiti sporchi, scafandri soffocanti che impediscono di respirare, per approdare ad una nuda originarietà dove l’uomo non è “nudo”, ma è semplicemente l’uomo.
Forse Pignato vuole scoprire il velo prima del peccato originale, visto come infinita brama di un sapere malsano che vuole rendere tutto disponibile al dominio del concetto, invece che lasciar Essere, lasciar vivere le emozioni.
Voglio citare i lavori di un amico che ha il merito di stimolare l’Essere umano alla riconquista di sé stesso. Con il lavoro “La parola ritrovata. Ricostruire l’uomo attraverso il linguaggio”, Fabrizio Guarducci stimola a ritrovare un’armonia tra il mondo esterno, ingabbiato nel pregiudizio concettivo e l’interiorità. Verso una parola che nasce come “munus” pegno, in cui le persone condividano Essere, armonia, attraverso l’emozione. Una parola che sembra essere più musica che linguaggio logico. E con l’ultimo libro “La partita delle emozioni” Guarducci esplicita il mondo delle emozioni che diventano sentimenti profondi, attraverso un dialogo che muove dalla condivisione dell’interiorità.
C’è delusione e amarezza di fronte allo spaesamento umano che ha provocato la falsificazione sistematica che ha compiuto un pensiero perverso, volto alla creazione di mondi vuoti, falsi, finalizzati al controllo, al dominio delle masse, piuttosto che alla conquista dell’umanità più profonda.
“Nel mondo dei concetti non c’è verità e libertà, non ci sono valori e sentimenti, non ci sono emozioni, non c’è la sensibilità e non c’è l’intelligenza critica e, l’unica cosa che si continua a produrre è purtroppo un altro concetto, un’altra negazione, un’altra sensazione, un altro nulla, un altro oggetto puramente concettivo. L’io s’è così abituato a pensare e a credere che tutto sia vero, che tutto sia razionale e logico nel suo mondo, ma non riesce ancora a staccarsi dalla razionalità e ad illuminare invece la naturatio”: l’uomo, secondo l’autore, non ha saputo “concettualizzare”, ovvero illuminare la “naturatio” dando carne ed ossa a ciò che sente e vede in modo innato. La mano, l’orecchio, la concretezza, l’ascolto sono le dimensioni a partire dalle quali possiamo riscoprire un’umanità che voglia tornare a pensare in modo libero, fuori dal Moloch della Razionalità che è diventata Tecnocrazia. Il mondo “digitale” ha appunto sostituito la creatività della mano. Con un dito si indica, si comanda, si scorre, non si crea nulla, ma semplicemente si naviga nelle maglie di una rete che ha impacchettato la nostra anima e la sta distruggendo, annichilendo il mondo delle emozioni, massacrando la delicatezza della dimensione poetica. È la morte della filosofia, ma anche della Bellezza, del contatto genuino con gli Altri Esseri Umani e con la Natura. Dobbiamo allora veramente compiere un grande passo indietro se vogliamo andare avanti e non soccombere allo strapotere del dominio tecnologico e concettuale.
In definitiva il filosofo consiglia vivamente il lettore di allontanarsi dal mondo dei concetti e di cancellare quel pesante, dominante ed assurdo fattore conoscitivo della fenomenica basata solo sulle sensazioni, sulle percezioni, sulle illusioni, perché fattori tendenti verso l’assenza, verso il finito, quindi al non-essere.
L’io è divenuto sempre di più meta-fisico, negando se stesso, perdendo sempre di più l’intelligenza e i sensi, la sensibilità e la capacità critica soggettiva di conoscere con la propria volontà, con le proprie scelte, finendo per accettare tutto in modo passivo, nell’ovvietà.
Bisogna quindi avvicinarsi senza terrore alla filosofia del cambiamento esistenziale, del movimento, delle emozioni dove l’io potrà conoscersi come fenomeno assoluto in essere, ribelle, libero e dimensionale, capace di raggiungere la sua fenomenologia. Bisogna cancellare la metodica razionalità di Descartes da un lato e quella percettiva di Berkeley dall’altro, per illuminare una metodologia che faccia unire l’io all’essere, la verità alla parola, l’io alla sua fenomenologia.
Prefazione di Francesco Corsi
Collana: Filosofi per il Terzo Millennio
Anno edizione: 2024
In commercio dal: 03 2024
Pagine: 892 p. Brossura
EAN: 978-88-31950-12-1
Prezzo: € 30,00
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